Dal 1848 al 1861

 

Rogliano centro della rivoluzione garibaldina

 

Saverio AltimariNel ’60 Rogliano diventa centro della rivoluzione garibaldina in Calabria. Alla testa del movimento rivoluzionario casentino vi è il barone Guzzolini, ma l’anima è Donato Morelli. Egli da Rogliano organizza le “bande”, i “cacciatori” della Sila; organizza la resa del gen. Caldarelli prima a Cosenza; e poi l’accerchiamento delle truppe del generale borbonico Ghio ad Agrifoglio. Il telegramma di Garibaldi: <<Dite al mondo che oggi con i suoi prodi calabresi ho fatto deporre le armi a 10 mila soldati borbonici>>, è testimonianza di un riconoscimento e di un impegno determinanti per la storia della Calabria. Tutti i volontari raccolti nei Comuni del casentino aderiscono alla rivoluzione nel nome “Italia e Vittorio Emanuele” e il 19 luglio 1860, in casa Morelli, tutti i rappresentanti sottoscrivono l’atto di adesione. Bisogna per onore della verità ricordare anche il roglianese Mosè Pagliaro che fu mandato da Donato Morelli a Garibaldi in Sicilia per sollecitare lo sbarco; e ancora l’azione svolta da Vincenzo Morelli ed Eugenio Tano attraverso lo schieramento borbonico per convincere il Ghio ad arrendersi. Carlo Morelli, autore di versi delicati e romantici, ispirati all’amore, al patriottismo, ma anche all’ambiente roglianese, è quello che scrive il manifesto invitando i cittadini alla rivolta: <<Accorti paesani, accorti. Il Governo di Federico II , dopo avervi con quattro leve in men di un anno, e senza diritto, tolti i figli, ora tenta di togliere anche voi alle vostre famiglie, ai vostri lavori, alle vostre campagne. Non vi lasciate sempre ingannare da questa rozza canaglia di realisti, ed impiegati ladri, ingordi ed avari. Se ci badate questi con quelli che vi scorticano, che più vi opprimono, che più vi rubano, che più vi lasciano morire di fame senza pietà>>. Ad Agrifoglio prima era stato destinato il Mileti e successivamente le forze raccolte da Donato Morelli di Cosenza, Dipingano, Aprigliano, Spezzano Grande, Marzi, S. Stefano, Parenti, Mangone. Il Battaglione di Rogliano fu detto Bruzio ed era composto di 95 uomini e 21 ufficiali. Tutto il “corpo” di Agrifoglio era comandato da Saverio Altimari e Vincenzo Morelli. Raffaele De Cesare dice che gli insorti si contavano a decina di migliaia, tutti armati sino ai denti e risoluti a vender cara la pelle. <<4000 insorti armati la maggior parte di fucili da caccia, di carabine militari, di lancie, falci, scuri>>. Pasquale Mileti passò alle dipendenze del barone Stocco a Nicastro e a Decollatura. Al campo di Agrifoglio vi era rappresentata una forza viva e combattiva di tutta la zona: vi era una “ufficialità” costituita di maggiorenti, ma anche di uomini animati da un sincero sentimento antiborbonico. Vi era Carlo Tano con due figli, tra cui Eugenio, che fu poi noto pittore garibaldino; egli comandava Compagnia di Marzi destinata all’avanguardia. Ferdinando Bianchi, già prete spretato, di Bianchi, dei Mille di Quarto, sbarcato prima in Calabria, ne comandava un’altra. Vi erano i fratelli Mazzei di Santo Stefano: Raffaele, Tommaso, Achille e Nicola; vi erano i quattro fratelli Parisio, da Rogliano. Donato Morelli organizza tutto il piano d’attacco, nominando per i centri più importanti della provincia i capi militari ed anche i <<Commissari di finanza per la colletta e il denaro di Italia>>. Ad Agrifoglio vi furono i De Guzzis di Scigliano, i Grandinetti di Aprigliano i contadini dei Morelli in grandissimo numero. Non vi troviamo tuttavia né i Ricciulli, né i Clausi, né altre note famiglie roglianesi. Esisteva tutto un carteggio Morelli-Garibaldi, utile per stabilire non solo i rapporti fra i due “amici”, ma anche per alcune precisazioni storiche, tra cui il problema della “resa” del Ghio a Soveria e il contenuto degli accordi stipulati per la resa. Il De Cesare è del parere che negli articoli della “resa”, vi era anche la clausola che tutto il contingente militare borbonico sarebbe stato lasciato con le armi indisturbato: senza stabilire termini, tempi e condizioni. E lo si arguisce da una lettera di Francesco Stocco, il Dittatore di Calabria ulta, a Vincenzo Morelli, e riportata nel suo libro: <<La colonna comandata dal gen. Ghio bisogna che venga trattata come truppa nazionale italiana e non già come truppa borbonica. Tali sono gli ordini qui arrivati dal Capo dello Stato maggiore generale Sirtori.  Per questo sono passati avanti. Vi presterete perciò ad agevolargli invece la marcia, ed offrirvi in ciò che potrà occorrergli>>, con la data del 28 agosto. Non è invece di questo parere Garibaldi che scrive a Donato Morelli a Tiriolo: <<Le forze regie, che marciano su Cosenza, devono capitolare, alle stesse condizioni di quelle capitolate a Punta Pezzo, cioè: gli ufficilai liberi d’andare dove vogliono con le loro armi e bagagli; la truppa rimanere armata quella parte che vuol servire con noi la causa nazionale>> (29 agosto 1860). Era il metodo di Garibaldi, forse troppo generoso e umanitario di fronte ad eventuali altri pericoli, ma legato alla sua natura ed ai suoi più intimi sentimenti. Il gruppo dei militari più spinti ebbe la prevalenza, e i soldati borbonici, opportunamente, ai fini della condotta generale delle operazioni, disarmati.

 

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