Rogliano: città simbolo delle contraddizioni post-unitarie

 

Verso il Novecento. La figura di Giovanni Domanico.

 

Giovanni DomanicoLa Calabria diede un contributo importante, e forse decisivo, al movimento unitario nazionale. Garibaldi, che ne fu sul campo il protagonista, non poté fare a meno di fomentare, come già aveva fatto in Sicilia, i moti di preparazione alla sua campagna che proprio qui si rivelò determinante, prima della battaglia del Volturno. Che diede la svolta definitiva alla sua azione, coronata con l’incontro di Teano e la conquista di Napoli. D’altra parte, non a caso il governo borbonico aveva dislocato proprio in Calabria gran parte del proprio esercito e dei propri armamenti, specie a seguito dello sbarco dei Mille in Sicilia. Nei piani degli strateghi napoletani, le truppe inviate lungo l’asse Tiriolo-Soveria Mannelli, a Cosenza e a Castrovillari, migliaia e migliaia di uomini, al comando di ufficiali stimati tra i migliori dell’apparato militare, pur se poi tali non si dimostrarono in ragione anche del mancato appoggio delle forze straniere alleate, avrebbero dovuto neutralizzare, come nel ’48, il movimento insurrezionale e vanificare la risalita garibaldina. E’ vero che la fama di Garibaldi faceva paura, specie dopo le più recenti imprese siciliane, ma è anche vero che l’immagine del condottiero non avrebbe potuto godere del conforto dei fatti, se non fosse stata accompagnata, come nell’isola, dal sostegno attivo dello schieramento antiborbonico locale. La dialettica degli avvenimenti trovo indubbiamente il suo snodo tra Soveria Mannelli e Rogliano, da sempre area strategica per la sua collocazione geografica, e non solo, nel quadro delle operazioni militari che, in vari e diversi periodi storici, interessarono la Calabria. Interlocutori privilegiati di Garibaldi furono i Morelli, Vincenzo e Donato, che l’Eroe dei due mondi tenne nella massima considerazione sino al punto di nominare il secondo dei fratelli roglianesi quale governatore della Calabria Citra, atto che il dittatore adottò proprio nella loro casa, dove fece tappa il 31 agosto del 1860. Ma a Rogliano operò un comitato filoborbonico, forte di collateralismi insospettabili e capace, attraverso l’azione dei frati cappuccini, di mantenere in vita una fitta rete di collegamenti con le bande brigantesche che qui allignavano sulla scorta della memoria e dei percorsi segnati, oltre mezzo secolo prima, da Fra’ Diavolo, avanguardia irregolare del borbonismo. Rogliano visse le sue sorti di piccolo ma importante capoluogo, come appendice vitale della più importante sede ufficiale del governatorato. Soffrì, però, le spinte controrivoluzionarie e patì il doloroso disincanto della restaurazione classista rispetto alle speranze accese dal passaggio garibaldino. La sua comunità, come le altre del Meridione, dovette sopportare il dramma dell’emigrazione ed avvertire tutto il peso di una diaspora che diede il senso della propria cocente delusione, in corrispondenza con il più generale malcontento popolare. E che si consumò tutta con la gradualità proporzionale al venir meno di una fiducia che era stata covata e curata con una ostinazione pari all’esaltazione soprattutto dei ceti meno abbienti accesa da quel nuovo corso che, così da vicino, l’aveva interessata e coinvolta. Qui la solidarietà di casta incrociò i provvedimenti del governatore locale che, gattopardescamente, a tutela degli interessi di casta di cui era espressione, riuscì a svilire la portata e gli stessi effetti dei decreti garibaldini rivolti a superare la vexata quaestio, antica e mai risolta, degli usi civici, noto della più complessa questione agraria, che concorreva ad inasprire lo scontro sociale. A Rogliano, i contenuti della questione meridionale rinvennero la concretezza della propria materia e i motivi tangibili della loro manifestazione. Questa comunità avvertì sulla propria pelle i morsi del sottosviluppo, proprio quando si illudeva di poterli evitare per sentirsi, ed essere, all’avanguardia del cambiamento in direzione del benessere, addirittura di una nuova civiltà, all’interno della quale non fossero più state possibili le ingiustizie sociali e le angherie dei ceti dominanti in danno del popolo. Non solo il filoborbonismo trovò terreno fertile per vivere la sua pur effimera avventura, quanto cominciò a farsi strada, dall’altra parte, il radicalismo politico in coincidenza con la diffusione su più vasta scala del marxismo e delle proteste che, un po’ dappertutto, andavano nascendo e sviluppandosi sotto la spinta dei Fasci, che rappresentavano sempre più il filone su cui il movimento socialista andava strutturandosi. In questa combattuta temperie, a Rogliano nacque e trascorse i primi anni della sua gioventù Giovanni Domanico, destinato a diventare una delle figure centrali del movimento anarchico, Che, anzi, sotto la sua spinta trovò stimoli di ulteriore attivismo e di permanente rilancio delle proprie esposizioni. Senza Domanico, uomo tutto preso dalla febbre della politica, catturato dalle sue stesse idee che lo travolsero, portatore di un carattere nient’affatto incline alle mediazioni che non fossero quelle sue intime, il movimento non sarebbe stato quel che è stato, soprattutto in ordine alle sue possibilità di esposizione, di divulgazione delle proprie idee, garantite da un continuo fiorire e rifiorire di una stampa effimera, ma pur sempre aggregante, oltrechè funzionale alle battaglie e alle polemiche ingaggiate da una forza minoritaria e rivoluzionaria. Che così guadagnava sempre più spazio vitale e rinnovate spinte per darsi vieppiù nuove prospettive. Donato Morelli e Giovanni Domanico, personalità profondamente diverse, culture esattamente opposte, da postazioni assolutamente differenti, ma non periferiche, bensì da ruoli che ebbero un’importnanza ben più vasta di quella che di solito poteva dare un perimetro localistico, accompagnarono, sia pure in un quadro di comune declino, le sorti della loro comunità all’accesso del Novecento.

 

Foto: archivio Ferdinando Perri 

 

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