Ferdinando II° incontra Frà 'Ntoni da Panettieri

 

Un comitato borbonico nel convento.

 

Convento di RoglianoLo spirito filoborbonico dei Cappuccini di Rogliano non si mitigò con la proclamazione del regno d’Italia, considerata da loro un risultato provvisorio dei sovversivi risorgimentali. Del resto, altri momenti di profondi rivolgimenti politico-istituzionali, poi puntualmente ricomposti, gli stessi religiosi avevano vissuto precedentemente, in particolare nel periodo della dominazione napoleonica e della reazione sanfedista. Infatti, nel paese, come del resto in altri centri della provincia, i monaci contribuirono a creare un clima di tensione e a spingere la popolazione all’insubordinazione, cercando di sfruttare il malcontento della gente delusa per lo svuotamento dei decreti garibaldini e avvilita per le speranze ancora una volta svanite. Nei primi mesi del 1861 i monaci di Rogliano costituirono, con il contributo di alcuni civili fedelissimi del regime borbonico, un comitato segreto che ben presto allacciò contatti con altri comitati della provincia. L’intento era quello di riorganizzare le fila per essere pronti ad un’insurrezione che si riteneva imminente. L’attenzione nei loro confronti era altissima; i patrioti del paese ben conoscevano i loro sentimenti filoborbonici così come la loro capacità di muoversi in gran segreto, nonostante le difficoltà ambientali. Nel maggio dello stesso anno il sospetto che nel convento si tramasse contro il nuovo governo cominciò a rivelarsi fondato e non si tardò a segnalare la cosa alle autorità. <<Vengo informato – scriveva il delegato provinciale di Pubblica sicurezza (Parise) al governatore di Calabria Citra – che nel Convento dei P.P. Cappuccini di Rogliano spesse volte si riuniscono degli individui col reo proposito di concertare contro l’attuale Governo, e conseguenza di tali riunioni sono le voci allarmanti che poi si fanno circolare nel paese. Fra le persone che più di frequente si recano in detto Convento si notano il Sacerdote D. Carmine Nicoletti di Ignazio, D. Vincenzo Nicoletti fu Raffaele e D. Luigi Nicoletti fu Raffaele>>. <<Sono parimenti informato – aggiungeva – che né scorsi giorni, in occasione che D. Gennaro Cristofaro stanziava nel sopradetto Convento per gli esami onde ascendere al Sacerdozio, venne ad una discussione politica col Sacerdote D. Carmine Nicoletti, e nel calore della discussione Nicoletti affermò che il 1° di giugno prossimo Francesco II sarebbe entrato nel Regno, e siccome ciò si negava dal Cristofaro, si venne ad una scommessa, e furono depositate due piastre (antiche monete d’argento, nda) nelle mani di un Padre presente …>>. I Nicoletti erano tradizionalmente una famiglia clericale e borbonica che aveva avuto un ruolo di rilievo nella vicenda politico-amministrativa del paese; nell’animosità della loro reazione traspariva non solo il forte legame con il deposto sovrano, ma anche il proposito di rivalsa nei confronti di quelle altre famiglie che, uscite vittoriose dal turbolento periodo, li avevano soppiantati nella gestione del potere locale. Ben presto i cospiratori si resero conto delle difficoltà nel muoversi e fare proseliti, probabilmente vennero a conoscenza che erano strettamente sorvegliati. Alcuni decisero di darsi alla macchia, altri tentennarono, qualcun altro, pentito o delatore, parlò. <<Un tal Domenico Altimari di Nicola, di questo Comune di Rogliano, dell’età di 18 anni, novizio nel convento dei Padri cappuccini di Rogliano – si legge in un dettagliato rapporto del delegato circondariale, Domenico Pace, al governatore – il giorno 11 decorso mese, unito ad un altro cappuccino di messa chiamato Giovanni Cristiano, nativo di Carpanzano e di residenza in questo convento, si sono uniti nelle file con i briganti in comitiva armata col fine di cambiar la forma del Governo. Però questo Domenico Altimari, che sotto precetto d’ubbidienza fu costretto a seguire il Padre di messa, essendo arrivato in Sila e non avendo trovato quanto gli davano ad intendere, colse il momento propizio, e rientrò nella propria casa il giorno 27>>. Sotto interrogatorio, Fra’ Domenico tra l’altro disse <<che nel convento dei Cappuccini, ove egli apparteneva qual novizio, ogni giorno non si parlava d’altro che dei briganti, e della venuta di Franc.o II>>; <<che il Padre Fra Giuseppe d’Aieta incitava i giovani monaci a darsi con i briganti, con lui alla test>> e che <<leggeva loro continui proclami, e fogli particolari, da dove si rileva che Franco II già era entrato in Napoli>>. Domandandogli <<se persone di Rogliano avessero confidenze sul proposito con Padre Giuseppe d’Aieta>>, il giovane novizio <<indicò D. Emmanuele de Jusi di Rogliano, D. Vincenzo Nicoletti di Cuti, come quelli che fornivano di notizie il Padre cappuccino e machinavano di conserva …>>. Ve n’era abbastanza per intervenire.

 

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